La Nuova Cucina Organizzata

di Casal di Principe

Autore: Maria Andreotti

22 agosto 2014

L’auto passa per alcune vie piuttosto strette, fiancheggiate da abitazioni che sono fortezze: gialli muri di cinta alti e grandi cancelli di ferro chiusi, a volte blindati, controllati da telecamere.
Arriviamo  in fondo e ci troviamo davanti a una casetta a due piani, con un murale colorato”180 volte grazie” ed entriamo dal cancello aperto, dove ci aspettano cinque persone, quattro uomini e una donne, età 35-40, con evidenti problemi psichici, che vivono al piano superiore; manca il “profeta arcangelo Gabriele” che è a letto perché non sta bene.
Al pian terreno c’è un ristorante pizzeria: la Nuova Cucina Organizzata, che in modo provocatorio rifa il verso alla Nuova Camorra Organizzata, ed ha ottenuto riconoscimenti da Slow food.
Il cibo è buono, a Km.0, proveniente da terreni coltivati da cooperative dove si pratica l’agricoltura biologica collegate a Libera; la cuoca, una ragazza giovane, aiutata da alcuni ospiti, ci ha preparato un vero pranzo della festa, che viene servito da un ragazzo. Non chiedetemi se fosse un educatore o un ospite perché non l’ho capito.
Questa realtà interessantissima è nata alcuni anni fa incrociando la lotta alla mafia e l’impegno del Dipartimento di salute Mentale, in modo particolare di uno psichiatra, per essere presenti sul territorio: non c’è personale sanitario ma solo educativo,e si utilizza il budget di salute.
Dimenticavo: il responsabile dell’abitazione è un ex paziente psichiatrico che se ne stava legato a un letto in una clinica, liberato dallo psichiatra e da un ragazzo che fino ad allora aveva fatto soltanto volontariato in parrocchia. E che ha accettato di diventare responsabile, anche se sapeva che sarebbe potuta essere una “posizione” scomoda.
All’inizio ci furono lamentele da parte degli abitanti, che non volevano avere i pazzi come vicini:
si decise perciò di regalare per una settimana la pizza a tutti, facendola recapitare  a domicilio  proprio da loro, perché vedessero chi erano, e quindi riuscire a coinvolgere il paese.
La pizzeria cominciò a funzionare e bene, tanto da essere decisamente in attivo.
La casa è in affitto, ma ora è stato assegnato loro un bene sottratto alla malavita organizzata: è un’abitazione molto grande, per cui tra poco ci sarà un trasloco e nella nuova sede oltre all’abitazione, al ristorante e alla pizzeria ci sarà anche una mensa.
La successiva tappa è in un’altra abitazione, questa di un ex camorrista: il cancello è aperto e nel muro sono state fatte delle aperture, davanti a cui stanno delle sagome umane con le scritte “coraggio, impegno, solidarietà” . Si entra non dal cancello ma attraverso l’apertura più grande, per indicare anche simbolicamente la caduta di questo confine imbattibile.
Inizialmente i giovani che vi operavano ricevettero più volte delle minacce: a un certo punto presero le chiavi e si presentarono dal maresciallo dei carabinieri dicendo che gliele restituivano, se lui non era in grado di far rispettare la legalità. Poi fortunatamente il tutto si risolse per il meglio.
Qui c’è un gruppo di convivenza, noi lo chiameremmo un centro diurno, frequentato solo durante la giornata da giovani con problemi psichici.
Anche qui però la casa è aperta a tutto il territorio. Inizialmente si misero calcetti e biliardini in una sala sotterranea, per invitare i ragazzi del posto, che incominciarono a venire, alcuni però armati, come loro abitudine.
I ragazzi che lavoravano nel gruppo proponente, provenienti spesso dalla parrocchia, si recarono allora a parlare con le madri per trovare delle alleate nella lotta contro la criminalità organizzata.
Per coinvolgere il territorio, questa volta, si pensò alla creazione di una radio, che attualmente è in funzione.
Siamo nel territorio di don Peppe Diana e alle ultime elezioni amministrative è diventato sindaco un medico, che ha saputo creare attorno a sé un gruppo di giovani ed è uno dei “medici di strada”, che prestano la loro opera gratuitamente agli africani di Castel Volturno, che raccolgono i pomodori che poi noi ci mangiamo: più rossi del loro sangue che del nostro sole.
E c’è la proposta di ridare al comune il nome precedente: Alba Nova.
Ho imparato molto.